Premessa

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venerdì 4 luglio 2008

Ce l’ho con… Chi dice che siamo tutti Provincialotti

RIPETO che questa non è una MIA rubrica. Queste sono parole scritte da Alessandro Nardone (mio caro amico). Nonostante ciò, non significa che io sia d'accordo con quello che scrive. Sia chiaro.
Robertina

Il tema che cercherò di trattare è origine di discussione continua.
Spesso ci scontriamo per differenze di opinione su quest’argomento e quindi penso sia il caso di trattarlo. Sto parlando del senso comune.
Chi leggerà può trovarsi in disaccordo e non approvare ciò che dico; ovviamente il mio discorso non è, e non vuole essere, oggettivo. Sicuramente il mio modo di pensare influenzerà l’argomento.

Ho sentito affermare da molti miei amici e da molti miei conoscenti questa frase: “io faccio quello che voglio” in questo caso mi riferisco al modo di vestirsi.
La risposta che ho dato e che continuo a dare è: “tu puoi fare quello che vuoi, ma non puoi incazzarti se dopo “la gente” reagisce in un certo modo”, che tradotto vuol dire: tu NON puoi fare quello che vuoi.
Questo perché?
Perché noi facciamo parte di una cultura, intesa come insieme dei costumi, delle credenze, degli atteggiamenti, dei valori, degli ideali e delle abitudini. In relazione sia l’individuo sia le collettività di cui egli fa parte. Cultura intesa come rete di significati.

Faccio l’esempio della cresta Punk nella nostra cultura. Ovviamente non sono stati i punk a “inventare” la cresta che esiste da millenni, ma bisogna considerare che nella nostra società, occidentale, chi va in giro con una cresta, viene subito associato musicalmente alla “categoria” Punk. Con questo cosa voglio dire, è impossibile “svuotare” il significato della cresta, ovvero andarci in giro liberamente, come se si portasse un'acconciatura come le altre, e non essere scambiato per un Punk.
Spiegando meglio: una persona che non è punk può andare in giro con una cresta, se lo scambiano per un Punk, non può incazzarsi; perché quello è il significato che sta mandando. Inoltre, verrebbe mal visto anche dagli stessi appartenenti alla categoria.

Se un ragazzo (o una ragazza) va vestito in un certo modo: con piercing, abiti zebrati/leopardati, sgargianti collane, bracciali e magari con cane a seguito, può capitare che venga fermato dalla polizia nonostante non abbia fatto nulla di male. Questo perché la nostra cultura vuole che quelli che si fanno di acidi e sostanze siano proprio di quella categoria.
Tengo a precisare che non c’è nessun fondamento scientifico che dice: TUTTI gli sfattoni si fanno le canne! È però nel senso comune che gli sfattoni fumano. Ed è per questo che la polizia controlla maggiormente quel genere di categoria. Dire: “Non è giusto! È sbagliato!” non ha senso. Dato che la polizia non può domandarsi ogni volta: “Vabbè dai non devo avere pregiudizi, il fatto che quello sia vestito in quel modo non vuol dire niente”. A conti fatti sono loro che ne detengono la maggior parte.

Questo discorso potrebbe durare mesi, e potrei scrivere centinaia di pagine. Cerco di stringere.
Se andando in giro per strada e incontriamo qualcuno vestito in modo strano, un musulmano per esempio, esso attrarrebbe la nostra attenzione. Questo non perché siamo provinciali, bensì perché non fa parte della nostra cultura e quindi essendo diverso da noi ne siamo incuriositi e spaventati, ecc…

Mi avvio alla conclusione citando alcune delle menti più brillanti del nostro secolo, vi raccomando di leggere attentamente:
“Se per qualche terribile circostanza, cessassimo improvvisamente di confidare sulle certezze del senso comune e iniziassimo a mettere tutto in discussione e a interrogarci su tutto, ci ritroveremmo ben presto paralizzati dall’incertezza e impossibilitati ad agire.
La nostra stessa salute mentale è dunque in qualche modo connessa al substrato di certezze e di risposte preconfezionate assicurateci dal senso comune.”
(Livolsi, 2000).

“Poiché è impossibile per l’essere umano affrontare tutte le informazioni che lo investono continuamente, la categorizzazione stereotipica gli può facilitare la vita”
(Leyens, 1986).
Concludendo:
“Gli stereotipi uccidono la percezione, ma ci consentono di vivere”
(Longo, 1990).
Alessandro Nardone.

2 commenti:

  1. che rompiballe di ragazzo =_= alla fine c'ha fatto pure una rubrica!

    Mi scuso con tutti, la colpa è mia che non riesco a fermarlo!
    XD

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  2. ma LOL!
    non finirà mai sto discorso XD

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